
Se n’è andata oggi, la mia Abuela.
La perdita di una nonna che non si è mai davvero conosciuta è un dolore strano, sottile. Non ha la forza devastante dell’assenza quotidiana, ma è come un’eco che arriva da lontano, quasi fosse un’ombra gentile che ci accompagna senza farsi notare.
Quando si cresce lontano, con pochi incontri e tanti silenzi nel mezzo, il legame diventa qualcosa di quasi immaginato, costruito più con l’intuizione che con i ricordi.
Eppure, a volte, bastano frammenti per creare un legame. Un piccolo aneddoto, una storia raccontata quasi per caso, può aprire mondi interi.
Per anni ho raccontato, con un misto di tenerezza e autoironia, che il mio feticcio per le carezze venisse da un gesto che, per decenni, ho attribuito a mio nonno. Forse per colpa della memoria che, come si sa, a volte riscrive le storie a modo suo.
Solo di recente ho scoperto che fu proprio mia nonna, un giorno in cui piangevo in modo inconsolabile da dentro la culla, a calmarmi con le prime carezze. Mi addormentai poco dopo.
E da quel momento, ogni volta che ero agitato, i miei nonni e mia madre ripetevano quel gesto semplice e miracoloso per farmi dormire.
Quelle carezze avevano un potere ipnotico, quasi magico. Un potere che credo solo chi ha vissuto la stessa esperienza possa davvero comprendere. Curiosamente, o forse no, anche nei rapporti più importanti della mia vita ho ritrovato quel gesto.
Ancora oggi, è il modo più immediato per spegnere il mio mondo e farmi scivolare nel sonno, come un ponte diretto all’infanzia, un richiamo istintivo alla sicurezza originaria. Quella memoria sensoriale, tramandata da madre a figlia e da lì a me, è diventata un filo che unisce tre generazioni attraverso un tocco semplice, ma carico di significato.
Se è vero, come diceva Vygotsky, che diventiamo anche grazie alle persone che ci stanno accanto, allora qualcosa di mia nonna vive ancora. Vive nelle mani di mia madre, nella mia pelle che riconosce un gesto antico, nel modo in cui l’amore si manifesta attraverso le sue forme più umili e vere.
Oggi, la gratitudine che provo per mia madre è immensa, ma non posso fare a meno di pensare che una parte di ciò che lei è oggi, la sua dolcezza, la sua forza discreta, il suo modo unico di amare, sia anche merito di chi l’ha cresciuta. E così, anche chi è rimasto lontano ha lasciato un segno, un segno che il tempo non può cancellare.
Non so dove porti il viaggio che hai intrapreso oggi, ma mi piace pensare che, da qualche parte, ci sia un luogo dove i gesti gentili trovano casa.
E se esiste, sono certo che ci sei arrivata leggera, con le mani ancora capaci di trasmettere pace.
Buon viaggio, allora Abuela.
E grazie, per tutto l’amore che mi hai
donato, anche quando non avevo ancora gli strumenti per comprenderlo.